L’8 Febbraio 2024 la Commissione Europea ha accettato un accordo politico del Parlamento ed il Consiglio sulla decisione di posticipare di due anni l’entrata in vigore degli standard di sostenibilità per i settori ESRS specifici. Le European Sustainability Reporting Standards (ESRS) sono una serie di documenti che servono alle aziende come linee guida su cosa riportare nel loro bilancio di sostenibilità per redigerlo in line con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Questa decisione porterà all’entrata in vigore di questi standard a metà del 2026. Questo è stato inclusa nel programma di lavoro della commissione per il 2024, includendo una riduzione dell’onere amministrativo per le aziende e degli obblighi di rendicontazione del 25%. Questo sarà valido anche per quelle extra-europee che sono influenzate dall’entrata in vigore di questi standard.

 

Questa scelta è stata giustificata con il bisogno di dare alle aziende maggior tempo di adattamento per essere in linea con gli standard ESRS, i quali sono stati rilasciati al Luglio 2023.

 

Questo articolo fa parte del filone di articoli per il tema “rischi normativi di transizione”

Le domande da porre sono due:

·      Quale messaggio vuole dare l’unione europea con questo allungamento per i tempi di adattamento?

·      In che modo è indicativo della situazione attuale al livello di bilancio di sostenibilità in Europa?

Mairead McGuinness, Commissario per i servizi finanziari, la stabilità finanziaria e l’Unione dei mercati dei capitali, ha rilasciato un comunicato dopo la decisione politica del Consiglio e del Parlamento. Delineando in maniera molto esplicita che l’Unione Europea è dalla parte delle aziende e comprende pienamente quali sono le sfide per una transizione ad una green economy. Soprattutto le difficoltà di sviluppare una reportistica di sostenibilità su delle catene di valore che fino al 2022 non si ponevano la problematica di raccogliere dei dati al fine di un report del genere. Questa mossa politica che hanno fatto il Parlamento ed il Consiglio europeo è una esternalità delle diverse risposte da parte degli stati membri, i quali hanno posizioni opposte nello spettro della transizione ad una green economy.

 

Da un lato troviamo la Francia. In un report dello studio Latham&Watkins si può trovare spiegato come la Francia ha trasposto nel sistema legislativo nazionale la nuova direttiva CSRD e come questa direttiva sta gradualmente sostituendo la loro Extra-Financial Reporting Declaration (EFPD). Dall’altro troviamo la Germania la quale si è schierata con maggior durezza dalla parte della diminuzione del carico amministrativo dato dal report di sostenibilità e secondo Forbes ci si aspetta la trasposizione della CSRD nel sistema legislativo nazionale solo in tardo autunno 2024, ben dopo la deadline di luglio 2024 imposta dalla Commissione Europea. La motivazione di questi due comportamenti molto diversi tra di loro è data da una forte differenza nella tipologia di industrie presenti nei due paesi. La Germania si distingue per essere un polo di produzione di acciaio, automotive e cemento contribuendo, secondo un dato di Statista del 2022, all’1.8 percento di tutte le emissioni di CO2 globali. Quindi come conseguenza l’applicazione della CSRD in Germania avrà un impatto maggiore che in Francia, la quale ha delle industrie meno “carbon-intensive”. 

 

Il messaggio che è stato mandato dall’Unione Europea è quello di voler dare fiducia alle aziende e agli stati membri con il fine di arrivare al 2026 con una conoscenza della maniera in cui strutturare il proprio bilancio sostenibile che può essere in linea con i requisiti di settore ESRS. La problematica risiede nella pratica continua di ritardare l’applicazione di questi standard. La triste verità è che le aziende devono reperire dati che molto spesso sono irreperibili perché troppo profondi nella catena di valore. Dare più tempo può voler dire dare alle aziende soggette agli standard una possibilità di valutare quali sono le lacune di informazioni fini alla redazione del bilancio e di adattarsi di conseguenza. La domanda da porsi è se questo periodo di cuscinetto sia effettivamente necessario o se è una pressione politica da parte delle aziende che non vogliono adattarsi a questi standard perché andrebbero incontro a dei costi che fino ad oggi non erano considerati nel budget aziendale. Questi costi sono direttamente collegati alla valutazione della propria catena di valore e all’adattamento alla normativa presto vigente. Una cosa è certa, più prima che poi questi costi dovranno essere considerati e valutati rispetto ai rischi e le opportunità relative al cambiamento climatico sia di natura fisica che di natura finanziaria e normativa.

 

Come questo può essere indicativo della situazione al livello di bilancio di sostenibilità in Europa? La risposta risiede nel bisogno delle aziende di expertise nel settore del rischio climatico. Attualmente la consapevolezza dei rischi normativi e di transizione ad un’economia a basso impatto di carbonio sono presenti, quello che manca è l’expertise per valutare e gestire questi rischi. In altre parole, non solo servirebbe un acceleratore di sostenibilità all’interno delle aziende ma anche un acceleratore di consapevolezza del rischio climatico. Attualmente sono entrambi carenti nel contesto societario europeo.

 

Che l’Unione Europea stia contribuendo a spronare le aziende verso questa direzione è evidente, purtroppo il passo successivo è poco nelle mani del regolatore quanto nella consapevole applicazione degli standard ESRS da parte dell’utente.

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