Gli standard di sostenibilità sono un tema caldo, importante e fondamentale per una transizione “verde” vincente. Allo stesso tempo però se si allarga il campo visivo di questi standard fuori dall’unione europea, la situazione potrebbe essere meno semplice di quanto si possa pensare.
La ricerca di standard globali non è solo fondamentale per far si che l’onda della sostenibilità sia cavalcata senza “freeriders” ma anche per instaurare in un futuro, possibilmente prossimo, una serie di valori che possano permettere di cambiare una retorica aziendale che ora è basata sul valore capitale invece che sull’impatto ambientale e sociale.
Fino ad oggi le organizzazioni che rilasciano linee guida sugli standard da seguire per la rendicontazione di sostenibilità sono prettamente di stampo Europeo. Sto parlando dell’ISSB e di EFRAG. L’ISSB è un’organizzazione indipendente, istituita nel 2021 sotto l’egida della Fondazione IFRS (già responsabile degli standard contabili internazionali). Ha lo scopo di sviluppare standard internazionali di rendicontazione sulla sostenibilità per le aziende. L’obiettivo è di fornire agli investitori e al mercato informazioni chiare, coerenti e comparabili sui rischi e le opportunità legati alla sostenibilità che influiscono sulle performance aziendali. Invece dall’altro lato troviamo EFRAG con i suoi standard ESRS. L’EFRAG è un’organizzazione privata, fondata nel 2001, che opera come advisor tecnico della Commissione Europea in materia di rendicontazione finanziaria. Fornisce pareri e interpretazioni sull’applicazione degli standard contabili internazionali (IFRS) all’interno dell’Unione Europea. L’obiettivo è garantire rendicontazione finanziaria coerente ed un’interpretazione uniforme degli standard. In questo momento il suo scopo principale è quello di affiancare la Commissione Europea nel rilascio degli standard per la rendicontazione della sostenibilità in azienda, anche detti standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards). Per quanto riguarda l’Unione Europea, questi sono i due principali responsabili per lo sviluppo degli standard di sostenibilità.
L’ISSB è uno dei pochi standard che è stato applicato da nazioni anche al di fuori dell’Europa. Dopo che EFRAG nel suo annuncio durante il COP28 ha dichiarato di accogliere il modello ISSB, sono stati molti al livello internazionale a mostrare interesse nei loro standard. La differenza più grande però viene dall’uso della materialità, per EFRAG esiste la controversa “doppia materialità” invece ISSB si basa su una materialità semplice e più “finanziaria”. Le nazioni al di fuori dell’unione europea che hanno deciso di creare degli standard sulla base di quelli dell’ISSB sono il Regno Unito, il Brasile, il Messico, Singapore, Hong Kong en il Giappone. Anche gli Stati Uniti e l’Australia stanno lavorando all’elaborazione e la pubblicazione di standard. Inoltre, la Cina sembrerebbe aver pubblicato una serie di standard che si basano sulla doppia materialità che verranno applicati alle aziende quotate dei poli finanziari di ShangHai, ShenZen e BeiJing.
Una cosa è chiara, molte nazioni stanno incorporando nelle loro rispettive regole anche gli standard di rendicontazione della sostenibilità. Quali saranno le difficoltà associate?
- L’omogeneità e la reperibilità dei dati.
Abbiamo visto che lo standard a cui in molti stanno aderendo sia quello dello ISSB. Quest’ultimo è oramai riconosciuto e consolidato, ma non è da dare per scontato che sia lui a fare da modello per uno standard globale. Da considerare è come il governo di un paese interessato vuole attuare questi standard. L’ISSB ha pubblicato una linea guida di come applicare gli standard al livello nazionale, ma la decisone di quale percorso di decarbonizzazione utilizzare rispecchia sempre i bisogni interni dello stato stesso. In un campo come quello degli standard di sostenibilità la disomogeneità dei dati può causare delle conseguenze severe. Soprattutto in un contesto dove è vero che alcuni seguono gli standard ISSB, ma altri stanno sviluppando dei criteri di valutazione propri. Un esempio ne è la Cina. Inoltre, i dati devono essere reperibili, essere in grado di costruire un sistema che permetta di rendicontare i dati specifici da paese a paese non è semplice. Questo è dovuto ai differenti sistemi su cui il paese è costruito.
- La seconda difficoltà risiede nel benessere economico della nazione.
Questa difficoltà si collega direttamente alla reperibilità dei dati. Una rendicontazione di sostenibilità si dovrebbe basare su dei dati primari. In caso non siano disponibili i dati primari si ripiega su dati secondari primari, in altre parole sono quei dati che sono presi da fonti scientifiche ma che non sono stati raccolti sul campo. Il benessere economico di una nazione incide direttamente sulla sua capacità di raccogliere questi dati. Uno standard come quello ISSB è fondato su un modello di paese europeo, il quale gode di uno status di “paese sviluppato” e quindi gode di un benessere economico che gli permette di reperire i dati richiesti dagli standard. Se si prova a tradurre questo per il resto del globo, ci sono molti paesi che non hanno le capacità per raccogliere il tipo di dati richiesti dagli standard ISSB. Quindi anche se è vero che possono essere presi come riferimento per molti paesi, questi ultimi sono solo quelli che hanno già sviluppato una infrastruttura tale da poter permettere una raccolta dei dati richiesti.
- La terza difficoltà invece è nascosta nei tempi di applicazione degli standard.
In un mondo ideale, la creazione di un ente globale permetterebbe di allineare tutti i percorsi di decarbonizzazione e identificare dove c’è bisogno di standard più stringenti e dove invece si settori hanno bisogno di sviluppo, quindi per non soffocare il settore introdurre gradualmente gli standard di rendicontazione. Un argomento contro questo potrebbe essere che un ente del genere invade la sovranità di un paese e che è lo stato che vuole introdurre gli standard di rendicontazione che dovrebbe individuare i migliori tempi per una graduale implementazione nel suo sistema legislativo. È vero che la sovranità di un paese è indiscussa, però se non si delineano dei chiari archi temporali per l’entrata in vigore degli standard di rendicontazione della sostenibilità il rischio per gli stati è quello di rimanere indietro nei bisogni di mercato.
Queste sono solo alcune delle criticità che impediscono la creazione di uno standard globale. Da aggiungere ad esse c’è la problematica della cultura aziendale, la quale è ancora ancorata ad un valore “capitale e finanziario”, che in un contesto di report di sostenibilità non riesce a comprendere l’utilità di rendere pubbliche le informazioni non-finanziare della propria catena di valore. C’è un problema politico, di policy e di adattamento di sistemi normativi nazionali che non sono pronti ad una naturalizzazione di uno standard che a differenza di altri comprende tutta la catena di valore di diversi settori. E soprattutto una problematica di educazione alla transizione verde, che comprende tutti gli stakeholder coinvolti nella rendicontazione e pubblicazione degli standard.
La globalizzazione degli standard di rendicontazione per la sostenibilità è un processo complesso e sfidante. L’ISSB ne è il precursore, ma la struttura di essi potrebbe essere troppo avanzata per il resto del mondo. Ci sono sistemi come la Cina, che si stanno muovendo per costruire i loro standard, che molto probabilmente, saranno impostati sulle basi di quelli europei per motivi prettamente finanziari. Le difficoltà da affrontare sono tante e vanno dalla reperibilità dei dati richiesti dagli standard esistenti, alla politica fino ad arrivare all’educazione su questi temi. Però forse la vera domanda è “quando arriverà questa accelerazione che porterà ad una globalizzazione dei report di sostenibilità?”. Nonostante le numerose difficoltà, è un obiettivo necessario per raggiungere una transizione “verde” efficace e duratura. Il superamento di queste sfide richiederà un impegno a livello internazionale, con la collaborazione di governi, aziende, organizzazioni non profit e cittadini.