Negli ultimi vent’anni, un fenomeno silenzioso ma allarmante sta modificando l’aspetto dei nostri oceani: le acque marine stanno diventando più scure. Un cambiamento apparentemente impercettibile, ma che potrebbe compromettere l’equilibrio stesso della vita marina. A confermarlo è uno studio pubblicato a maggio 2025 sulla rivista Nature, frutto di un’analisi condotta da un gruppo di ricercatori del MIT, del Max Planck Institute e della NASA, che ha esaminato i dati satellitari raccolti tra il 2003 e il 2022.
Secondo lo studio, oltre il 21% degli oceani globali ha subito un cambiamento significativo nella trasparenza dell’acqua, perdendo decine di metri in profondità luminosa nella cosiddetta zona fotica – lo strato marino raggiunto dalla luce solare, fondamentale per la fotosintesi del plancton. In particolare, il 2,6% delle aree osservate ha visto una perdita di oltre 100 metri di penetrazione luminosa. Si tratta di una trasformazione che, se confermata e proseguita nei prossimi anni, metterà in crisi la catena alimentare marina e il funzionamento del più grande sistema di assorbimento di CO₂ del pianeta.
Le cause: sedimenti, alghe, cambiamento climatico
A provocare questa progressiva oscurità sono diversi fattori, spesso intrecciati. Il primo è l’aumento dei runoff costieri, ovvero il riversamento in mare di sedimenti, fertilizzanti e materiale organico dalle attività agricole e urbane. Questi elementi rendono l’acqua torbida, riducendo la penetrazione della luce.
Ad incidere più che corposamente, è anche il riscaldamento degli oceani, in grado di alterare la stratificazione termica e la distribuzione delle correnti, favorendo una crescita anomala di fitoplancton in alcune aree e una carenza in altre. “È come se l’oceano si stesse comportando come una foresta in disequilibrio, con zone d’ombra che si allargano e impediscono alla luce di nutrire la base dell’ecosistema”, spiega la biologa marina Silvia Kröger, del Max Planck Institute.
Numerose evidenze collegano l’oscuramento marino direttamente al cambiamento climatico.
Le acque superficiali si stanno scaldando più rapidamente di quelle profonde, aumentando la stratificazione e riducendo il mescolamento verticale che porta nutrienti alla superficie. Inoltre, l’aumento delle piogge intense e degli eventi estremi, entrambi legati all’alterazione climatica , sta intensificando l’afflusso di materiale organico dai bacini fluviali, contribuendo all’opacizzazione delle acque costiere. L’analisi satellitare mostra che le aree più colpite coincidono spesso con zone vulnerabili all’impatto climatico, come i tropici e le correnti atlantiche.

Le conseguenze: un effetto domino per l’ecosistema
La riduzione della luce disponibile colpisce prima di tutto il plancton, alla base della catena alimentare marina. Meno fotosintesi significa meno ossigeno, meno nutrimento per i piccoli organismi, e quindi una pressione crescente sui pesci, i mammiferi marini e infine anche sulle economie costiere che vivono di pesca.
Anche il ciclo globale del carbonio è in pericolo. I mari assorbono circa un quarto della CO₂ emessa annualmente dall’uomo. Se le dinamiche biologiche che permettono questo assorbimento si riducono, l’effetto serra rischia di accelerare ulteriormente.
Le implicazioni climatiche vanno quindi ben oltre l’ecosistema marino. Un oceano che assorbe meno CO₂ è un oceano che restituisce più gas serra all’atmosfera, compromettendo l’equilibrio già fragile delle temperature globali. Inoltre, la riduzione dell’attività biologica marina può contribuire all’acidificazione delle acque e all’indebolimento della capacità oceanica di regolare il clima terrestre.
“Abbiamo sempre saputo che i cambiamenti climatici avrebbero alterato gli oceani,” osserva Daniel Boss, oceanografo della NASA, “ma non avevamo previsto che uno dei segnali più precoci e visibili potesse essere la perdita della luce.”
Un fenomeno disomogeneo, ma in crescita
L’oscuramento non è uniforme. In alcune zone, soprattutto al largo dell’Atlantico meridionale e nei pressi dell’equatore, la luce sembra penetrare ancora più in profondità rispetto al passato. Ma sono eccezioni. Le aree in peggioramento includono l’Atlantico settentrionale, il Golfo del Messico, il Mar Baltico e parte dell’Oceano Indiano. In questi tratti, l’interazione tra riscaldamento delle acque, afflussi di nutrienti e crescita algale produce un’opacizzazione costante.
Azioni di Mitigazione
Il primo passo, indicano gli autori dello studio, è migliorare il monitoraggio. Le analisi satellitari devono essere integrate con osservazioni dirette, da boe oceaniche e navi di ricerca. In parallelo, serve intervenire a terra: ridurre l’uso di fertilizzanti, migliorare il trattamento delle acque reflue e preservare le zone umide che filtrano naturalmente i nutrienti prima che arrivino in mare.
Ma la sfida è anche culturale. Come nota l’UNESCO in un recente rapporto: “Il mare non è solo una risorsa. È un sistema vivente, interconnesso, sensibile anche a ciò che accade a migliaia di chilometri dalla costa. L’oscuramento degli oceani è un segnale di squilibrio globale.”
Che il mare si faccia più scuro non è una metafora poetica, ma una realtà scientifica con implicazioni profonde. Meno luce significa meno vita, e meno vita in mare significa meno equilibrio anche per chi vive sulla terraferma. Ignorarlo, oggi, sarebbe come chiudere gli occhi proprio mentre tutto si sta facendo buio.