La situazione idrica in Israele e Palestina è sempre più precaria, suscitando preoccupazioni sia tra i cittadini che tra gli esperti di risorse idriche. Le riserve d’acqua nella regione sono sottoposte a una crescente pressione a causa di una combinazione di fattori, tra cui l’aumento della popolazione, i cambiamenti climatici e le politiche idriche.
Israele e Palestina si trovano in una delle regioni più aride del mondo, dove le risorse idriche naturali sono limitate. Il Mar Morto, il fiume Giordano e gli acquiferi sotterranei sono le principali fonti d’acqua dolce, ma queste risorse sono sotto stress crescente. L’inverno scorso ha visto precipitazioni inferiori alla media, aggravando ulteriormente la situazione.
Israele ha investito massicciamente in tecnologie avanzate per la gestione dell’acqua, inclusa la desalinizzazione e il riutilizzo delle acque reflue. Questi sforzi hanno permesso al paese di affrontare in parte la scarsità d’acqua, ma non sono sufficienti a risolvere completamente il problema. L’aumento delle temperature e le prolungate siccità, effetti del cambiamento climatico, minacciano di superare la capacità delle infrastrutture attuali.
La situazione è ancora più critica nei territori palestinesi. La Cisgiordania e Gaza affrontano una carenza d’acqua cronica, esacerbata da infrastrutture obsolete e dalla limitata capacità di estrazione e trattamento dell’acqua. Secondo un recente rapporto dell’ONU, molti palestinesi hanno accesso a meno di 50 litri d’acqua al giorno, ben al di sotto degli standard internazionali.
Le politiche idriche israeliane sono spesso oggetto di critiche da parte delle autorità palestinesi e delle organizzazioni internazionali, che accusano Israele di limitare l’accesso all’acqua nei territori occupati. Le tensioni politiche e i conflitti territoriali complicano ulteriormente la gestione delle risorse idriche condivise.
Israele e Palestina condividono tre principali risorse idriche: il bacino del fiume Giordano, l’acquifero costiero – con Israele a monte e Gaza a valle – e l’acquifero montano, che inizia nelle alture della Cisgiordania e fluisce verso la valle del Giordano. Israele ha risorse idriche limitate e, in una misura significativa, dipende dall’acqua proveniente dai territori palestinesi per il suo approvvigionamento, che in passato forniva il 40% dell’uso idrico israeliano. Negli ultimi anni, la scarsità d’acqua in Israele è diventata meno problematica grazie alla desalinizzazione su larga scala.
Storia del Conflitto Idrico
Dalla creazione di Israele nel 1948, le relazioni israelo-palestinesi sono rimaste conflittuali. Almeno dalla guerra dei sei giorni del 1967 e dalla nazionalizzazione da parte di Israele delle risorse idriche nei territori occupati, l’acqua ha avuto un ruolo prominente nel conflitto. Negli anni ’90 ci sono stati ampi sforzi per raggiungere un accordo di pace, in cui la cooperazione sulla condivisione e gestione delle risorse idriche ha avuto un ruolo importante. Tuttavia, l’antagonismo politico tra le due parti ha ostacolato fino ad oggi gli sforzi congiunti per la condivisione e la protezione dell’acqua.
Il processo di pace multilaterale in Medio Oriente, avviato nel 1991 a Madrid, è stato fondamentale per il processo di risoluzione del conflitto. Parallelamente, i leader palestinesi e israeliani hanno condotto negoziati segreti in Norvegia, facilitati dai governi degli Stati Uniti e della Norvegia. Questi colloqui segreti hanno portato alla “Dichiarazione di Principi” del 1993, in cui la questione dell’acqua ha occupato una parte importante. L’accordo ha istituito l’Autorità Palestinese e ha determinato allocazioni temporanee di acque sotterranee dalla Cisgiordania a Israele e Palestina, basate sul principio dell'”utilizzo equo” tra palestinesi e israeliani.
Nel 1995 è stato firmato un nuovo accordo, in cui Israele ha riconosciuto i diritti idrici della Cisgiordania. Inoltre, l’accordo ha istituito un Comitato Congiunto per l’Acqua (JWC) e un Comitato Congiunto di Esperti Ambientali (EEC), includendo diversi punti riguardanti la protezione dell’acqua. Tuttavia, studiosi hanno sottolineato che il trattato del 1995 era asimmetrico a favore di Israele, con l’Autorità Centrale israeliana che limitava i progetti idrici palestinesi favorendo invece gli sviluppi idrici negli insediamenti ebraici.
L’Urgenza di Soluzioni Sostenibili
Nonostante le tensioni, ci sono stati tentativi di cooperazione tra le due parti. Progetti come il Red Sea-Dead Sea Water Conveyance Project mirano a migliorare la situazione idrica nella regione attraverso la collaborazione internazionale. Tuttavia, il successo di questi progetti dipende dalla stabilità politica e dalla volontà delle parti coinvolte di lavorare insieme.
La comunità internazionale, incluse organizzazioni come l’UNICEF e l’UNRWA, ha sottolineato la necessità di soluzioni sostenibili a lungo termine. È essenziale investire in infrastrutture moderne, promuovere l’uso efficiente delle risorse idriche e affrontare le cause profonde del cambiamento climatico.
In conclusione, la crisi idrica in Israele e Palestina rappresenta una sfida complessa che richiede una risposta variegata e collaborativa. Solo attraverso l’impegno congiunto e la cooperazione sarà possibile garantire un futuro sostenibile per entrambe le popolazioni, preservando una risorsa vitale come l’acqua.