Mentre i riflettori della cronaca internazionale sono puntati sul conflitto armato tra Israele e Iran, un’altra guerra si consuma nell’ombra: quella delle risorse energetiche. È una guerra che non si combatte con missili, ma con strozzature logistiche, rincari, sabotaggi informatici e minacce strategiche. Lo Stretto di Hormuz – già protagonista di tensioni globali negli anni ’80 – è oggi tornato al centro di una sfida che rischia di destabilizzare gli equilibri economici e diplomatici del pianeta.

 

Lo Stretto di Hormuz: arteria vitale dell’energia globale

Situato tra Iran e Oman, lo Stretto di Hormuz è largo appena 39 chilometri nel punto più stretto, ma vi transita circa il 20% del petrolio mondiale: quasi 18 milioni di barili al giorno. Inoltre, rappresenta la rotta chiave per il gas naturale liquefatto (LNG) del Qatar. Fin dagli anni ’70, Hormuz è stato identificato come un “choke point strategico“: ogni sua chiusura provoca immediate ripercussioni su mercati energetici e geopolitica globale.

 

Dallo scontro armato al conflitto energetico

L’escalation tra Israele e Iran – acuitasi dopo il raid su Damasco dell’aprile 2024 – ha trasformato il conflitto in una guerra ibrida, dove colpire infrastrutture, rotte marittime e risorse energetiche è diventato tanto importante quanto vincere sul campo. Solo nel mese di maggio 2025, più compagnie hanno denunciato attacchi a petroliere e droni esplosivi, con conseguenti deviazioni delle rotte e sospensioni delle operazioni navali.

 

I numeri della dipendenza: chi usa Hormuz

Lo Stretto è la via primaria per le esportazioni di Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi e Qatar, e viene quotidianamente attraversato da navi destinate a:

  • Cina (primo importatore mondiale),

  • India (oltre il 60% del suo fabbisogno petrolifero transita da Hormuz),

  • Giappone e Corea del Sud, fortemente dipendenti dalle rotte mediorientali.

Qualsiasi interruzione nello Stretto determina impennate nei costi assicurativi, instabilità dei mercati globali e rischi sistemici per le economie importatrici.

Scenari geopolitici e conseguenze sistemiche

La crisi nello Stretto di Hormuz non rappresenta soltanto una minaccia energetica: è il termometro di un più ampio scontro geopolitico in corso. L’intensificarsi delle tensioni tra Iran e Israele si inserisce in una partita globale che coinvolge tutte le grandi potenze.

Gli Stati Uniti, da sempre garanti della sicurezza della regione attraverso la Quinta Flotta, si trovano oggi in una posizione delicata: da un lato devono contenere l’influenza iraniana per proteggere i propri alleati (Israele, Arabia Saudita, Emirati), dall’altro rischiano un’escalation regionale con effetti disastrosi sui mercati globali e sul consenso interno. Il Pentagono ha già aumentato le pattuglie militari nel Golfo, ma ogni intervento diretto potrebbe innescare una crisi diplomatica con Russia e Cina.

La Cina, principale acquirente di petrolio iraniano e saudita, guarda con crescente preoccupazione alla vulnerabilità delle sue rotte energetiche. L’iniziativa “One Belt, One Road” prevede anche corridoi terrestri alternativi per ridurre la dipendenza da Hormuz, ma nel breve termine Pechino resta fortemente esposta. Per questo la Cina sta rafforzando la cooperazione con Iran e Russia in chiave anti-NATO, mentre tenta di proporsi come mediatore per una de-escalation regionale.

L’Unione Europea è divisa: da una parte sostiene Israele e le posizioni occidentali, dall’altra deve fare i conti con una dipendenza energetica strutturale e la volontà politica di mantenere la rotta del Green Deal. Lo shock dei prezzi energetici rischia di rallentare gli investimenti nella transizione, rendendo ancora più urgente un piano coordinato per la sicurezza energetica comune e il rafforzamento delle riserve strategiche.

La Russia, già coinvolta nel conflitto in Ucraina, ha tutto da guadagnare da un aumento dei prezzi del petrolio. Ogni instabilità nel Golfo Persico sposta l’attenzione internazionale e rafforza il peso strategico delle esportazioni russe verso Asia e Africa. Mosca gioca un ruolo ambiguo: appoggia Teheran sul piano diplomatico, ma si guarda bene dall’intervenire direttamente, lasciando che la crisi logori gli equilibri occidentali.

A livello globale, la moltiplicazione dei rischi energetici rafforza l’interesse verso fonti alternative e infrastrutture resilienti: si accelera la diversificazione dei fornitori, il ricorso a energie rinnovabili e si rivalutano asset energetici nazionali. Tuttavia, il tempo gioca contro: ogni giorno di instabilità nello Stretto rafforza le strategie di potenza, accentua le disuguaglianze tra Paesi e rischia di compromettere la tenuta del sistema multilaterale.


Hormuz ieri e oggi: uno stretto che fa tremare il mondo

La storia dello Stretto di Hormuz è costellata di crisi:

  • Negli anni ’80, durante la guerra Iran-Iraq, si combatté la cosiddetta “Tanker War”, con oltre 400 navi colpite e un intervento diretto della marina statunitense.

  • Nel 2008, l’Iran minacciò apertamente la chiusura dello Stretto in risposta a nuove sanzioni USA.

  • Nel 2019, l’attacco a due petroliere (una norvegese, una giapponese) fece schizzare il prezzo del petrolio sopra i 75 dollari al barile.

  • Tra il 2024 e il 2025, gli attacchi alle infrastrutture energetiche si sono intensificati, facendo temere una nuova chiusura, con conseguenze sistemiche su energia, commercio e logistica internazionale.

In ogni fase, Hormuz ha dimostrato la propria centralità geopolitica: una singola minaccia può alterare l’equilibrio dei mercati globali in poche ore.


Un mondo ostaggio di uno stretto

Mai come oggi, il destino dell’economia globale è legato a un passaggio largo meno di 40 chilometri. Lo Stretto di Hormuz è il simbolo della fragilità sistemica delle infrastrutture energetiche. Serve una risposta multilaterale fatta di prevenzione diplomatica, investimenti strategici in energia pulita e maggiore cooperazione tra Stati.

Solo così sarà possibile evitare che le guerre del futuro si vincano non con le armi, ma con il controllo di valvole, strettoie e rotte marittime

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